Foreste Vetuste Patrimonio Unesco

Posizione: parchi

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L'italia conserva e consolida il suo primato di aree tutelate dall'Unesco, arrivando a collezionarne ben 53, e l'abruzzo raggiunge lo storico traguardo del primo sito patrimonio dell'umanità. 937 ettari del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise sono stati inseriti nel sito transnazionale Unesco "Faggete vetuste dei Carpazi e di altre regioni d'Europa", durante la 41a Sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale, in corso a Cracovia dal 2 luglio. Si tratta di un sito di interesse esclusivamente naturalistico, che comprende più di 2000 ettari di faggete sparse in un territorio che, attraverso 12 paesi, va dai Pirenei ai Carpazi, includendo anche boschi di Alpi, Appennini e Balcani. Le aree del Parco selezionate sono 5: la Valle Cervara, nel comune di Villavallelonga; la Selva Moricento, nel comune di Lecce dei Marsi; le foreste di Coppo del Principe e Coppo del Morto, nel comune di Pescasseroli; la Valle di Cacciagrande, ad Opi. Sono state scelte le aree migliori dal punto di vista ecologico e conservazionistico. Di particolare pregio è la faggeta della Val Cervara, unico esempio attualmente conosciuto in Italia di foresta primaria. Le faggete vetuste abruzzesi si distinguono dalle altre foreste europee per l'altezza degli alberi (fino a 50 metri) e per la loro età (anche 600 anni). Un'altra unicità a livello continentale è il livello di biodiversità elevato, dovuto al basso grado di interventi antropici. Nei Comuni di Pescasseroli è situata la foresta del “Coppo del Morto”, un altro tratto di faggeta dove gli alberi superano i cinquecento anni di età, essendo scampati per lungo tempo alla scure dell’uomo soprattutto poiché si trattava di una “terra di nessuno”, cioè una zona contesa tra due Comuni. Più a sud, c’è la bellissima faggeta del “Coppo del Principe” e aree limitrofe, nella “Difesa” di Pescasseroli, dove i piccoli tratti di foresta vetusta, sopravvissuti su balze e rupi, si sono ormai fusi con la rinnovazione e le riserve dei tagli effettuati nell’area agli inizi del secolo scorso. rosalia-alpinapicchio-dorsobianco Due specie particolarmente legate alla presenza di alberi morti. Questa è una delle zone più selvagge e suggestive del Parco, importantissima, oltre che per l’orso bruno marsicano, anche per alcune specie forestali assai rare e preziose, quali il picchio dalmatino (Dendrocopos leucotos lilfordi), il barbastello (Barbastellus barbastella) e il coleottero Rosalia alpina. Il nome di questa zona è stato dato in onore della frequentazione di queste montagne da parte dei nobili di casa Savoia risalente agli inizi del Novecento, quando questi parteciparono a celebri battute di caccia all’orso, organizzate dai nobili locali. Il torrente della Valle Jancino che attraversa l’omonima foresta nel cuore della Riserva Integrale della Val Fondillo. Il quinto sito, che è anche il più vasto di tutti, ricade invece nell’area di riserva integrale della Val Fondillo nelle zone di Cacciagrande e Valle Jancino tra i paesini di Opi e Civitella Alfedena. È un luogo incantato e l’unica foresta vetusta del PNALM con presenza di acqua, in quanto attraversata da diversi ruscelli dalla portata costante. Alberi di dimensioni imponenti sovrastano valli incassate, piene di rocce ed anfratti. In queste faggete così umide si trovano specie altrove rare, come la salamandra pezzata appenninica (Salamandra s. gigliolii). Quest’area tra l’altro coincide con il nucleo storico di nascita dell’Area protetta stessa, nel lontano 1922, da cui poi il territorio del Parco si è esteso sino alla superficie attuale. Qui il mondo della faggeta viene a contatto con quello rupestre della Camosciara, e orsi, picchi e funghi incontrano genziane, camosci e aquile reali. Queste faggete, oltre a concorrere per diventare patrimonio dell’Umanità, rimangono comunque degli importantissimi laboratori a cielo aperto per la ricerca e la gestione degli ecosistemi forestali. Questi alberi possono raccontarci infatti le vicissitudini del clima e della storia umana degli ultimi secoli; illustrare le complesse dinamiche ecologiche in atto tra le specie che vi vivono, e offrire strumenti preziosi e modelli per fare previsioni e scegliere linee di gestione future.

 

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